Ci sono giorni in cui tutto scorre e sembra facile, le scelte si susseguono con naturalezza e la mente trova soluzioni anche dove prima vedeva solo vincoli; e poi ci sono altri giorni in cui ogni decisione si trasforma in un peso, ogni possibilità sembra nascondere un errore e ogni scelta un potenziale fallimento da evitare, più che una direzione da prendere.
Il punto è che decidere, per noi esseri umani, non è mai un gesto puramente razionale: è il risultato complesso di abitudini, credenze, paure, modelli appresi, automatismi inconsapevoli.
Quando prendi una decisione, che sia importante o apparentemente marginale, ti stai muovendo per scelta, per paura o per imitazione?
Ogni volta che decidiamo qualcosa, “cosa dire, cosa comprare, cosa evitare, cosa cambiare”, attiviamo una sequenza di processi che coinvolgono il corpo, le emozioni e il pensiero astratto e anche se spesso ci raccontiamo che agiamo con lucidità, in realtà buona parte delle nostre decisioni quotidiane risponde a un modello che abbiamo introiettato nel tempo, spesso senza rendercene conto.
C’è chi prende decisioni con un approccio analitico, raccoglie dati, confronta alternative, valuta costi e benefici, e solo dopo aver esplorato razionalmente il contesto sceglie la strada che appare più vantaggiosa, questo modello è utile quando si ha il tempo per pensare, ma può diventare un boomerang quando si trasforma in iperanalisi e paralisi da controllo.
C’è chi invece segue un’intuizione, si fida del primo sentire, riconosce il “sì” o il “no” in una reazione immediata del corpo o in un’impressione fugace, magari nata da una lettura sottile del contesto, e questo modello ha radici profonde nella velocità di adattamento, ma può essere poco utile quando si confonde l’intuito con l’impulso o con il bisogno di sfuggire all’incertezza.
C’è poi un modello decisionale “sociale”, che non nasce dal dentro ma dal fuori, in cui la persona si adegua a ciò che fanno gli altri, prende decisioni non per convinzione ma per appartenenza, assume comportamenti simili al gruppo di riferimento, quali famiglia, colleghi, contesto culturale, per non uscire dal tracciato e per non rischiare lo scarto o il giudizio; questa forma di decisione passiva è estremamente diffusa e viene spesso scambiata per buon senso o prudenza, mentre in realtà rappresenta una delle forme più silenziose e pervasive di auto-sabotaggio.
Infine, esiste anche un modello misto, dove logica e intuizione collaborano, dove il confronto con gli altri non annulla la propria posizione ma la rafforza, dove il tempo della decisione è onorato come tempo di discernimento e non come ostacolo da superare in fretta.
Conoscere il proprio stile decisionale non è solo un esercizio di consapevolezza, è un passaggio fondamentale verso l’indipendenza, perché chi non sa come decide, rischia di delegare le scelte più importanti alla paura, all’abitudine o peggio ancora, a chi ha interesse a indirizzarle altrove.
Nel contesto dell’autonomia economica e progettuale, quella di cui abbiamo parlato nei precedenti articoli, e che è costituita dai piccoli atti quotidiani, il tuo modello decisionale è la spina dorsale di tutto, perché nessuna strategia, nessuna pianificazione, nessuna visione a lungo termine potrà funzionare se alla base c’è un sistema di scelte incoerente, inconsapevole o derivativo.
E in tempi in cui tutto ci spinge a reagire, ad accelerare, a seguire la corrente, allenarsi a riconoscere il perché e il come di ogni decisione è una delle pratiche più rivoluzionarie e concrete che possiamo scegliere di abbracciare.
Hai il copraggio di descrivere a te stessa il tuo modo di decidere, di raccontare da dove nasce, come si manifesta, cosa teme, cosa protegge e, soprattutto, cosa ti ha insegnato finora.