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L’Impatto delle aspettative altrui sul nostro ruolo e le nostre decisioni

Le aspettative che gli altri hanno su di noi influenzano profondamente il modo in cui ci muoviamo nel mondo. A volte, senza nemmeno rendercene conto, lasciamo che siano preconcetti e ruoli socialmente imposti a definire il nostro spazio di azione, influenzando le interazioni e limitando la nostra libertà di scelta. Ma fino a che punto siamo condizionati da ciò che gli altri si aspettano da noi? E quali conseguenze ha il persistere di pregiudizi di genere, soprattutto in contesti decisionali?

L’incontro con il pregiudizio: un caso esemplare

Immaginiamo di entrare in una concessionaria per acquistare un’auto. Fin dal primo momento, il venditore lascia trasparire un atteggiamento di sufficienza: osserva con sguardo critico l’auto con cui siamo arrivati, comunica con il non verbale un giudizio implicito e risponde alle domande tecniche con superficialità. Quando insistiamo su aspetti specifici come prestazioni e finanziamenti, si infastidisce: “Ma perché tutte queste domande? L’auto va vista e deve piacere!”

Questa frase rivela più di quanto sembri: sottintende che il ruolo di chi acquista debba essere passivo, che una donna debba limitarsi all’estetica e che le specifiche tecniche siano di competenza maschile. La trattativa non è più un dialogo tra due persone su un prodotto, ma un gioco di potere in cui il venditore cerca di ristabilire il suo ruolo dominante. La domanda diventa inevitabile: quanto spazio lasciamo agli altri di definire il nostro posto in una conversazione, in una decisione e nella società?

Le conseguenze di un ruolo imposto

Quando accettiamo queste dinamiche, rischiamo di aderire inconsapevolmente a un copione che non abbiamo scritto noi. Se le donne vengono costantemente trattate come interlocutrici marginali in ambiti tecnici e pratici, la conseguenza naturale è che inizino a dubitare della propria autorità in queste aree. Ma questo schema si perpetua anche perché, spesso senza rendercene conto, siamo noi stesse a rafforzarlo: ogni volta che minimizziamo le nostre competenze con frasi autoironiche, che ci lasciamo relegare in ruoli secondari per abitudine o che usiamo metafore e proverbi figli di una cultura che ci vuole spettatrici anziché protagoniste.

Non si tratta solo di un episodio isolato, ma di un meccanismo che si ripete in molteplici contesti: dagli acquisti importanti, alle trattative di lavoro, fino alle decisioni economiche e politiche. La responsabilità non è solo esterna, ma anche interna: possiamo scegliere di essere le prime a scardinare questi retaggi, non attraverso la competizione ma cambiando la nostra narrazione. A partire dal linguaggio che utilizziamo, dalle scelte che facciamo e dall’atteggiamento con cui affrontiamo situazioni in cui tradizionalmente saremmo state messe in secondo piano.

Nel caso della concessionaria, l’atteggiamento del venditore dimostra il peso degli stereotipi: le donne si devono occupare di cose futili come l’estetica, mentre gli uomini “sanno” di cose pratiche. Un pregiudizio talmente radicato che, di fronte a domande specifiche su pneumatici o tassi di finanziamento, il venditore arriva addirittura a perdere la pazienza, come se fosse assurdo che una donna possa voler comprendere questi dettagli.

Il contrasto emerge in modo netto quando ci rechiamo in una seconda concessionaria. Qui, il venditore ci accoglie con rispetto, stringe la mano e inizia con una domanda chiave: “Quali sono le sue esigenze?” Un’apertura che cambia completamente la dinamica: non parte da supposizioni, ma dall’ascolto. Non assume che il nostro interesse sia limitato all’estetica, ma si informa sulle prestazioni desiderate, sul budget e sull’uso dell’auto in diversi contesti.

Propone tre modelli, illustra con precisione pregi e difetti, offre test drive per sperimentare le differenze e prepara preventivi dettagliati, spiegando in modo chiaro ogni voce di spesa. In questo caso, non è il genere a definire la relazione, ma la competenza e il dialogo. Non esistono ruoli imposti, solo un’interazione basata sul rispetto reciproco.

Quindi, chi definisce il nostro ruolo?

Questo episodio ci porta a riflettere su quanto le aspettative degli altri possano condizionare le nostre esperienze. Se accettiamo senza reagire che il nostro ruolo sia marginale, finiamo per interiorizzare questo limite. Ma quando troviamo interlocutori capaci di vedere oltre i preconcetti, il risultato cambia radicalmente: non siamo più spettatori passivi di una trattativa, ma partecipanti attivi, consapevoli e in grado di prendere decisioni informate.

Le convinzioni sociali e i pregiudizi di genere non sono solo ostacoli culturali: hanno un impatto concreto sulla nostra libertà di azione e sulle opportunità che ci vengono offerte. La scelta che possiamo fare è quella di non permettere agli altri di definirci, ma di affermare con decisione il nostro diritto a essere ascoltati, a fare domande e a pretendere risposte chiare. Perché la vera parità non si misura solo nelle grandi battaglie, ma nelle piccole interazioni quotidiane in cui scegliamo di non farci mettere da parte.

Buona festa della donna a tutte

Un caro saluto

Cristina