Ogni giorno, sempre più donne scelgono una nuova meta. Un percorso verso l’affermazione di sé, verso un modo diverso di fare impresa, verso una maternità che non coincide più con il sacrificio totale, ma con la scelta consapevole. Sono donne che desiderano creare valore fuori e dentro casa, senza dover rinunciare a parti essenziali di sé. Ma durante il tragitto, spesso si trovano davanti a un bivio emotivo: da una parte il desiderio di costruire, esplorare, espandersi e dall’altra il timore di “perdersi” come madri, come figure di riferimento e come custodi della famiglia. In prossimità del viaggio, si aprono una serie di scenari che possono essere affrontati in modi diversi.
Il primo pensiero è primitivo e viscerale: “Sto facendo la cosa giusta? Se lavoro troppo, sarò ancora una brava madre? Mi sto allontanando da ciò che mi fa sentire sicura, approvata, accettata?” Questo istinto cerca protezione, sicurezza, sopravvivenza e appartenenza. Purtroppo, la narrazione culturale con cui siamo cresciute ci ha detto che la protezione sta nella rinuncia, che la sicurezza si trova nel restare ferme, vicine al modello tradizionale e che chi cambia direzione rischia di smarrirsi. Ma oggi, per molte, la vera sopravvivenza psicologica sta nell’autenticità, non più solo nell’adattamento. Il nostro istinto di protezione si può rieducare: la sicurezza può nascere anche da un sentiero nuovo, se lo percorriamo con consapevolezza e amore.
Dopo aver elaborato questo primo pensiero, normalmente si accende il cuore. Le emozioni si mescolano, compaiono entusiasmo, ma anche vergogna, senso di colpa e paura del giudizio. Soprattutto quando la società continua a lanciare messaggi incoerenti come ad esempio: “Se un uomo lavora tanto, lo si celebra: “che padre responsabile!” Se una donna fa lo stesso, si insinua il dubbio: “e i figli? come possono crescere senza la costante presenza della madre?” tutto questo ferisce, fa sentire in difetto come se si stesse disertando un dovere sacro. Ma la verità è che l’amore non si misura in ore, ma in presenza autentica. Un figlio che vede la madre realizzarsi impara a credere nei sogni, nei progetti, nella possibilità di scegliere. Anche la dimensione emotiva di noi ha bisogno di nuovi racconti, racconti in cui maternità e impresa non si escludano, ma si arricchiscano.
Una volta superati questi due primi ostacoli, si inizia ad analizzare la questione con la dimensione più razionale attraverso la riflessione e l’analisi fino a imbattersi nel pensiero lucido, quello che ci permette di guardare il quadro più ampio. Ed è qui che comprendiamo una verità fondamentale: Non è la biologia dei ruoli a definire la famiglia, ma la qualità delle relazioni e la libertà di scelta. Abbiamo idealizzato modelli maschili nel lavoro, per poi svalutare quei modelli in ambito domestico. Abbiamo cercato legittimazione imitando invece che innovando. Questo è il momento storico perfetto per ridisegnare la mappa, per pensare la famiglia come un ecosistema fluido, in cui i ruoli si alternano, si integrano e si costruiscono insieme. Perché continuare a pensare in termini binari? Perché continuare a dire “o l’uno o l’altro”, quando potremmo dire “insieme, in modo diverso”?
Siamo finalmente giunte al punto in cui possiamo scrivere il nuovo racconto del nuovo cammino. Possiamo abbandonare la lotta e salpare per un nuovo viaggio, ove le acque sono limpide e le rotte sono tutte da disegnare. Possiamo decidere cosa lasciare davvero in eredità ai nostri figli, possiamo essere imprenditrici e madri, leader e partner, forti e dolci, vulnerabili e autorevoli. Possiamo lasciare la via della scalata, e scegliere, invece, di aprire un nuovo sentiero fino ad arrivare ad una radura, coltivare ampi spazi ove far vivere la famiglia e nei quali l’uomo e la donna sono veri compagni di viaggio senza recinti.